La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 149 dell'11 luglio 2018, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 58 quater comma 4 della legge 26 luglio 1975 n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui si applica ai condannati l'ergastolo per il delitto di cui all'art. 630 del codice penale, che abbiano cagionato la morte del sequestrato; nonché, in via consequenziale, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953 n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l'illegittimità costituzionale dell'art. 58 quater comma 4 della legge n. 354 del 1975, nella parte in cui si applica ai condannati l'ergastolo per il delitto di cui all'art. 289 bis del codice penale, che abbiano cagionato la morte del sequestrato.
In buona sostanza, la Corte Costituzionale ha ritenuto incostituzionale negare qualsiasi beneficio penitenziario ai condannati all'ergastolo per aver causato la morte di una persona sequestrata per estorsione, terrorismo o eversione, prima che abbiano scontato almeno 26 anni di detenzione.
Tale preclusione assoluta, a parere dei Giudici della Consulta, è irragionevole, sulla base del principio enunciato nell'articolo 27 terzo comma della Carta Costituzionale: "…le pene devono tendere alla rieducazione del condannato…".
La relativa questione di legittimità costituzionale era stata sollevata dal Tribunale di sorveglianza di Venezia, al quale un condannato all'ergastolo per sequestro a scopo di estorsione e omicidio della vittima aveva chiesto di poter accedere al regime di semilibertà, avendo già trascorso più di venti anni in regime carcerario, serbando una condotta irreprensibile, fondata sullo studio e sullo svolgimento di attività lavorative.
La Corte Costituzionale, ricordando anche la precedente sentenza n. 204 del 1974, concernente la incostituzionalità dell'esclusione della liberazione anticipata per i condannati all'ergastolo, precisa, nella parte motiva della recentissima pronuncia, che la restrizione in esame vanifica la finalità del beneficio della liberazione anticipata, ossia la rieducazione del reo.
La Consulta sostiene che "…la personalità del condannato non resta segnata in maniera irrimediabile dal reato commesso in passato, foss'anche il più orribile, ma continua ad essere aperta alla prospettiva di un possibile cambiamento… prospettiva che non può non chiamare in causa la correlativa responsabilità della società nello stimolare il condannato a intraprendere tale cammino, anche attraverso la previsione da parte del legislatore… e la concreta concessione da parte del giudice... di benefici che gradualmente e prudentemente attenuino, in risposta al percorso di cambiamento già avviato, il giusto rigore della sanzione inflitta per il reato commesso, favorendo il progressivo reinserimento del condannato nella società…".
Il legislatore, purtroppo, non sempre tiene nella giusta considerazione il principio sancito dall'articolo 27 della Costituzione della Repubblica Italiana, allorquando introduce restrizioni o limiti ostativi, con riferimento alla concedibilità di benefici o, più in generale, alla previsione di regimi ed istituti giuridicamente favorevoli a condannati o detenuti, provocando, così, anche il possibile intervento della Corte Costituzionale.